Commento al decreto-legge 18 maggio 2012, n. 63

Abstract

La riforma dell’editoria è una sorta di araba fenice, che muore e rinasce ad ogni stagione politica, sempre preannunciata da slogan ma mai attuata; e mentre il medico studia l’ammalato muore, dice un vecchio proverbio. Ed è il caso di dire che mai adagio fu più adattabile alla situazione dell’editoria in Italia. Al fiume di chiacchiere sull’esigenza di riformare il settore si contrappone come unico distintivo una disciplina dettata da una legge che risale a oltre trenta anni fa. In quegli anni la televisione commerciale si affacciava alla finestra, con un nuovo modello di business che, innovando le abitudini di consumo dei cittadini ed i criteri di pianificazione pubblicitaria delle aziende, avrebbe cambiato per sempre il mercato con un processo graduale ma inesorabile di disaffezione dalla carta stampata da parte dei centri media.

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